Ossigeno medicale in spiagge e piscine, cosa dice la legge
In questo articolo vogliamo approfondire le implicazioni legali connesse alla detenzione e all’uso di ossigeno medicale all’interno di stabilimenti balneari, impianti natatori (piscine pubbliche o private) e scuole di subacquea o diving. Per meglio comprendere le conseguenti responsabilità in caso di lesioni o annegamento dovuto a mancanza di adeguati presidi medici e formazione del personale addetto al salvataggio abbiamo interpellato l’avvocato Marco Paggini dello studio legale Vaudo Paggini & C. con sede a Livorno, il quale opera nell’ambito del diritto marittimo e del diritto dei trasporti, con radicata propensione internazionale.
«Le questioni da affrontare sono molteplici», esordisce Paggini. «Innanzitutto è opportuno premettere in ordine un confronto alle rilevanti normative in materia di ossigeno medicale attualmente vigenti; in secondo luogo si rende necessario procedere ad alcuni brevi cenni sulle possibili cause di annegamento e sul ruolo dell’ossigenoterapia da un punto di vista medico. Alla luce di questi elementi, cercheremo di ricostruire la natura degli obblighi e i possibili profili di responsabilità legale configurabili a carico degli istituti in questione». Il quadro normativo sull’ossigeno medicale Prima di addentrarsi nel merito della questione, è opportuno riassumere brevemente il quadro normativo in tema di utilizzo di ossigeno medicale, la cui analisi risulta indispensabile al fine di comprendere gli obblighi e le possibili conseguenze legali a carico degli istituti ad oggetto. Vi sono diverse normative dedicate alla materia dell’ossigeno medicale, di cui di seguito tracceremo un cenno.
Definizione di ossigeno medicale
«Preliminarmente occorre anzitutto specificare che l’ossigeno da impiegare nelle emergenze discusse è quello prettamente medicale», spiega Paggini. Ai sensi dell’art. 1(a) del decreto legislativo n. 219 del 24 aprile 2006, attuativo della direttiva UE 2001/83/CE, si definisce medicale:
1) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane;
2) ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica.
Lo stesso decreto legislativo dà inoltre all’art. 1(oo) una definizione dell’espressione “gas medicinale” come «ogni medicinale costituito da una o più sostanze attive gassose miscelate o meno ad eccipienti gassosi». Tali definizioni costituiscono premesse essenziali su cui fondare quanto afferma l’avvocato Paggini: «L’ossigeno usato per scopi medici è a tutti gli effetti un farmaco avente una specifica indicazione terapeutica approvata dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) riguardante il trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta e cronica. Il decreto legislativo n. 219/2006 precisa chiaramente che l’ossigeno medicale è soggetto a prescrizione medica. Di conseguenza, il suo acquisto presuppone una necessaria ricetta medica da esibire in farmacia, non essendovi altro modo legale di ottenerlo. Per l’appunto, non essendo gli stabilimenti balneari, gli impianti natatori e i diving dei “soggetti professionali” da un punto di vista medico, essi possono approvigionarsi dell’ossigeno medicale soltanto attraverso i canali autorizzati dalla normativa a vendere farmaci al pubblico, nel rispetto delle classificazioni effettuate dall’Aifa. Ciò vale per qualsiasi bombola destinata a contenere ossigeno medicale, comprese quelle monouso non ricaricabili».
Il contenitore dell’ossigeno medicale
Al fine di distinguere facilmente le bombole destinate a contenere i gas medicinali come definiti dalle norme sopracitate, l’art. 1 del decreto ministeriale del 14 ottobre 1999, emanato dal Ministero dei trasporti e della navigazione, stabilisce che «la parte cilindrica di tali bombole deve essere verniciata di bianco […] tra la valvola e la ghiera di tutte le bombole destinate a contenere gas medicinali deve essere inserito un disco in acciaio inossidabile recante la punzonatura “Per uso medico”, l’indicazione del numero di partita IVA o codice fiscale del proprietario delle bombole. […] È fatto assoluto divieto di utilizzare la colorazione bianca della parte cilindrica per bombole destinate a contenere gas per uso diverso da quello medicinale». «Dal contenuto citato – spiega Paggini – si evince chiaramente l’intenzione di rivolgere al confezionamento e all’impiego dell’ossigeno medicale una particolare attenzione, differenziandolo dalle altre bombole di ossigeno attraverso la colorazione bianca della parte cilindrica e di un disco in acciaio inossidabile recante la punzonatura “Per uso medico” finalizzata alla tutela della sicurezza degli utenti oltre che dei potenziali pazienti. Appare evidente come soltanto tale bombola di ossigeno sia idonea al trattamento medicale e non anche le altre bombole di ossigeno generiche. L’Aifa si è premurata inoltre di assicurare la qualità del gas medicinale contenuto nelle bombole stabilendo che, a partire dal 1° febbraio 2018, non è più consentito ricaricare autonomamente le bombole in proprio possesso; ma è necessario rivolgersi direttamente al produttore del gas medicinale attraverso il suo distributore (la farmacia di riferimento), posto che le relative responsabilità ricadono su quest’ultimo in quanto titolare dell’Aic (Autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco). Tale disposizione, importante per quanto riguarda tutti gli istituti in esame, assume tuttavia particolare rilevanza per quanto concerne i possibili profili di responsabilità riconoscibili in capo ai diving, secondo quanto esposto più avanti, che usano bombole di ossigeno per immersioni tecniche (miscele nitrox e trimix) che non hanno assolutamente alcuna possibilità di utilizzo medico». La formazione per l’utilizzo dell’ossigeno medicale Una questione giuridica e pratica che sorge comunque spontanea consiste nello stabilire se, pur in presenza di un obbligo di detenzione di bombole di ossigeno medicale, un personale non medico possa ritenersi autorizzato all’impiego dell’ossigeno per scopi terapeutici. Una risposta specifica a tale interrogativo ci viene fornita dal disposto della circolare prot. n. DGDFSC 0018981-P del 20 marzo 2012 del Ministero della salute, avente come oggetto la “Somministrazione di ossigeno in emergenza”. Sentito il parere del Consiglio superiore della sanità, il Ministero della salute ha stabilito quanto segue:
È consentito a personale non medico, anche in assenza di un parere medico, somministrare ossigeno in situazione di emergenza, senza incorrere nell’esercizio abusivo della professione medica. Il Consiglio superiore della sanità ha rilevato infatti che la somministrazione di ossigeno medicale è regolata dalla legge sulla prescrizione dei farmaci che richiedono ricetta medica, per quanto riguarda la vendita, ma l’ossigeno non è un farmaco la cui somministrazione è limitata al medico o al personale sanitario. La somministrazione di ossigeno, come primo soccorso in caso di incidente da decompressione, è lo standard di intervento previsto dalle procedure nazionali ed internazionali ed è raccomandata dalle principali organizzazioni mediche internazionali, oltre che dalla UE.
Il Ministero della Salute ha inoltre riconosciuto alle figure del bagnino e dell’istruttore subacqueo un ruolo essenziale, evidenziando quanto segue: Si ritiene, pertanto, che sia consentito a personale non medico, in assenza di un parere medico, somministrare ossigeno esclusivamente in situazioni di emergenza senza incorrere nell’esercizio abusivo della professione medica, se tale pratica è affidata a figure stabilmente presenti nei luoghi dove esistano rischi che richiedano, se emergenti, la somministrazione di ossigeno (bagnini, istruttori subacquei, capitani delle barche che accompagnano i sub per le immersioni,…) e sia previsto un addestramento in Primo soccorso che fornisca le conoscenze pratiche e teoriche tali da garantire la sicurezza necessaria per agire in modo rapido ed efficace in caso di emergenza (Basic Life Support).
«Parafrasando le disposizioni riportate – riepiloga Paggini – si evince che l’impiego di ossigeno a scopo terapeutico è consentito, anzi è reso doveroso, al personale degli stabilimenti balneari, impianti natatori e diving, a condizione che l’ossigeno sia stato ottenuto dietro prescrizione medica, che si versi in una situazione di emergenza e che il personale in questione abbia completato regolarmente un corso di primo soccorso. Con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto, va osservato che l’addestramento di “Basic life support” richiesto dal Ministero della salute non si limita alla sola rianimazione cardiopolmonare, ma deve estendersi anche a una più ampia conoscenza dei protocolli sanitari rivolti alla gestione dell’emergenza, che prevede l’utilizzo dell’ossigeno a supporto delle funzioni vitali. La circolare sottolinea altresì la necessità, per gli istituti come quelli ad oggetto nei quali possono sorgere rischi che richiedano la somministrazione immediata di ossigeno, di detenere un saturimetro arterioso quale strumento per il monitoraggio del livello di ossigenazione nel sangue, elevandolo a strumento di dotazione obbligatorio».
La valutazione dei rischi
Ciò premesso, tutte le imprese – e dunque anche gli stabilimenti balneari, gli impianti natatori e le scuole di sub e diving – sono generalmente obbligate alla detenzione di bombole di ossigeno medicali destinate alle emergenze in forza del decreto legislativo n. 81/2008, recante il “Testo unico sulla sicurezza sul lavoro”, e dal suo allegato VIII. L’art. 45 del decreto, inoltre, fa particolare riferimento alla necessaria preparazione del personale al fine di garantire un adeguato primo soccorso, proporzionato rispetto alle dimensioni ed esigenze di ciascuna impresa.
Tali elementi, sebbene non in modo omogeneo, sono stati recepiti e attuati dalle ordinanze di sicurezza balneari, delle quali si tratterà nelle prossime righe. Ai sensi dell’art. 15 del decreto, peraltro, tutte le imprese sono obbligatoriamente tenute a redigere, custodire ed esibire ai competenti organi di controllo in caso di ispezione o richiesta il DVR o “Documento di valutazione del rischio”. Si tratta di un documento finalizzato all’identificazione e valutazione dei possibili rischi legati alla salute e alla sicurezza all’interno dell’azienda e delle relative procedure e misure di prevenzione. Ai sensi degli artt. 17, 28, 29 e 30 del decreto, il responsabile del DVR è il datore di lavoro, il quale non può delegare a nessun altro la redazione del documento. Egli ha tuttavia la facoltà di affidarsi a un tecnico specializzato nel campo della sicurezza sul lavoro per ottenere una consulenza mirata in relazione alla preparazione del DVR. Negli stabilimenti balneari, impianti natatori e diving il DVR – secondo la normativa applicabile – dovrebbe contenere tutti i dati relativi alla corretta gestione in sicurezza dell’ossigeno medicale, in modo da fornire una guida per fronteggiare i casi di emergenza.
Le ordinanze balneari
Le ordinanze di sicurezza balneare sono provvedimenti amministrativi emanati dai locali uffici del corpo delle Capitanerie di porto – Guardia costiera competenti per territorio e volti a disciplinare gli aspetti relativi alla sicurezza della navigazione e dei bagnanti. «Anch’esse costituiscono fonti di obbligazioni a carico degli istituti in esame, e infatti sono solite contenere disposizioni relative alle dotazioni di Primo soccorso ed al salvataggio in generale», spiega l’avvocato Paggini. «Confrontando tuttavia le diverse ordinanze balneari attualmente in vigore, emerge un quadro regolamentare tutt’altro che omogeneo e conforme a quanto previsto dalle fonti normative citate in precedenza. Sicuramente ciò dipende dalle intrinseche differenze ed esigenze di ciascun territorio, oltre che dalla competenza in materia di sanità riconosciuta dal nostro ordinamento a ciascuna Regione. Tuttavia, tale mancanza di certezza nella regolamentazione incide inevitabilmente sulla sicurezza degli utenti.
In effetti, molte ordinanze balneari omettono di prevedere, per esempio, l’obbligatoria dotazione del saturimetro o la necessaria formazione del personale addetto agli istituti. Di conseguenza, molti di questi dispongono solamente di dotazioni parziali o inadatte, giustificandosi sulla base dell’assenza di previsioni specifiche nell’ordinanza balneare di riferimento. Ebbene, è fondamentale evidenziare che le ordinanze balneari non possono considerarsi riferimenti esaustivi in quanto stabilimenti balneari, impianti natatori e diving rimangono in ogni caso assoggettati a tutti gli obblighi in materia di sicurezza sinora esposti e disciplinati dalle normative citate. La semplice mancanza di alcuno degli obblighi menzionati in un’ordinanza balneare non può derogare a quanto previsto dalla legge o escluderne la validità, anche in ragione della necessaria prevalenza delle fonti del diritto».
Riassunto: gli obblighi di stabilimenti balneari, piscine e scuole di diving in materia di ossigeno medicale
Riassumendo i contenuti salienti delle norme menzionate è possibile avanzare un elenco basilare degli obblighi relativi alla detenzione e all’uso di ossigeno medicale facenti capo a stabilimenti balneari, impianti natatori e scuole di diving, che secondo la legge, sono dunque tenuti a:
1) munirsi di prescrizione medica per l’acquisto – esclusivamente in farmacia – di bombole di ossigeno medicale recanti i segni distintivi prescritti dalla legge, la cui detenzione negli istituti è obbligatoria;
2) far frequentare al proprio personale adeguati corsi di “Basic life support”, al fine di fornire una preparazione completa per la gestione di situazioni di emergenza in tema di primo soccorso;
3) somministrare ossigeno medicale, ove opportuno e necessario, a qualsiasi persona sotto la responsabilità anche temporanea dell’istituto che versi in condizioni di emergenza;
4) ricaricare le bombole di ossigeno medicinale esclusivamente tramite la farmacia di riferimento e non autonomamente;
5) detenere almeno un saturimetro e utilizzarlo ove necessario;
6) redigere, detenere ed esibire ove richiesto un DVR, comprensivo di ogni informazione relativa alle condizioni di utilizzo dell’ossigeno medicale per scopi terapeutici.
Le possibili cause per la somministrazione di ossigeno medicale
Come premesso, cercheremo ora di dare un breve cenno sulle possibili cause di annegamento, sottolineando come non vi è alcuna pretesa di voler sostituirsi alla necessaria valutazione che potrebbe dare un medico in materia e con i limiti della nostra limitata conoscenza della materia. Tra le cause principali la medicina segnala come le vittime di annegamento possono trovarsi in uno stato di arresto cardiaco o di arresto respiratorio. Certamente la maggior parte dei casi di annegamento non fatale, ma richiedenti assistenza medica, hanno come comune denominatore la difficoltà respiratoria dell’interessato, a causa dell’affaticamento dei muscoli respiratori o dell’irritazione delle vie aeree e dei polmoni, dovuta all’inalazione di acqua. In tali casi la medicina evidenzia come un’ossigenoterapia immediata può salvare la vita, limitare la possibilità di danni cerebrali o ad altri organi di natura permanente, o comunque facilitare il recupero in via generale. Purtroppo gli istituti quali gli stabilimenti balneari, gli impianti natatori e i diving non sempre risultano raggiungibili in tempi adeguati da parte degli equipaggi del soccorso avanzato, quando si tratta di dover rendere gli interventi di assistenza con la necessaria tempestività. È proprio in queste ipotesi che assume rilevanza la possibilità di fornire alla vittima una somministrazione immediata di ossigeno medicale.
Profili di responsabilità legale a carico di stabilimenti balneari, impianti natatori e diving
Prosegue Paggini: «Sebbene il quadro normativo per la questione in esame sia eterogeneo e basato su una pluralità di fonti giuridiche, vi sono alcuni punti fermi da prendere in considerazione per quanto concerne la responsabilità per i casi di annegamento degli utenti, relativamente ai quali gli stabilimenti balneari, gli impianti natatori e i diving club sono stati più volte riconosciuti legalmente responsabili. In effetti la giurisprudenza prevalente ha fatto leva sull’instaurarsi di un rapporto di garanzia tra gli istituti e ciascun utente, dal quale discende per i primi un obbligo generale di garantire la sicurezza dei secondi».
La responsabilità degli stabilimenti balneari
«Le normative esaminate impongono chiaramente agli stabilimenti balneari e al loro personale di detenere dell’ossigeno medicinale, nonché di utilizzarlo a scopo terapeutico sui bagnanti qualora reso necessario da situazioni di emergenza. Sul piano giurisprudenziale, la Corte di cassazione ha osservato anzitutto che i bagnini sono obbligati a stazionare nelle apposite postazioni di servizio e a non allontanarsi mai da esse, a meno che non si renda necessario un soccorso. In caso contrario essi saranno punibili in via amministrativa per violazione dell’art.1164 del Codice della navigazione, anche se l’allontanamento sia stato richiesto dal gestore dello stabilimento (cfr. Cass. Civ., sentenza del 12 giugno 2006 n. 13589). Qualora da tale violazione dovesse scaturire anche un ritardo nei soccorsi di una vittima da annegamento, la responsabilità del bagnino assumerebbe anche rilevanza penale, fino a possibili imputazioni per omicidio colposo o lesioni personale colpose ai sensi degli artt. 589 e 590 del Codice penale. L’art. 61 del citato decreto legislativo 81/2008 estende inoltre in via generale la configurabilità delle imputazioni per omicidio colposo o lesioni colpose in capo alle imprese ogniqualvolta il fatto in questione si verifichi “con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o [che] abbia determinato una malattia professionale”».
«Molte ordinanze di sicurezza balneari puntualizzano inoltre che il concessionario, il responsabile della struttura balneare o il referente comunale assume, in casi simili, la veste di obbligato in solido ai sensi dell’articolo 6, comma 3 della legge n. 689/1981, a titolo di culpa in vigilando, in caso di infrazioni commesse dall’assistente bagnante. Nella momentanea assenza di disposizioni di legge che disciplinino in modo specifico le conseguenze penali a carico di uno stabilimento balneare a causa di una mancata somministrazione di ossigeno, si ritengono applicabili le regole di cui sopra se compatibili con i casi di specie. In concreto, la questione giuridica con cui confrontarsi di volta in volta al fine di valutare la responsabilità penale dei membri del personale e/o dell’istituto in questione consisterà nello stabilire la sussistenza o meno di un nesso di causalità tra la mancata somministrazione di ossigeno medicale e l’annegamento o le lesioni subite dall’utente. In altre parole bisognerà chiedersi se, ai sensi degli artt. 40 e 41 del Codice penale, l’annegamento o le lesioni in questioni avrebbero potuto essere impedite tramite un’immediata somministrazione di ossigeno che l’istituto o il rispettivo personale avrebbero potuto fornire. Chiaramente, la risposta a tale quesito dipenderà anche dalle circostanze di ciascun caso concreto e dalla valutazione che gli inquirenti opereranno nella fase di indagine del singolo caso».
La responsabilità degli impianti natatori
Analoghe considerazioni valgono per gli impianti natatori, relativamente ai quali la giurisprudenza ha generalmente riconosciuto la colpa dei gestori per i casi di annegamento che avrebbero potuto essere evitati tramite idonee precauzioni, anche sulla base dei menzionati principi in materia di causalità (si vedano per esempio Cassazione penale, sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 48793; Cassazione penale, sez. IV, 21 giugno 2013, n. 43168; Cassazione penale, sez. IV, 21 giugno 2013, n. 43168). «Sembra tuttavia possibile affermare, alla luce della giurisprudenza sinora formatasi, che gli impianti natatori non possono essere ritenuti responsabili per danni subiti – seppure entro i confini dell’area in gestione – da qualsiasi individuo vi si sia recato al di fuori dei relativi orari di apertura, senza il consenso e la presenza del personale addetto (Cassazione civile, sez. III, 28 ottobre 2009, n. 22807), purché il personale in questione riesca a dimostrare di avere adottato delle misure idonee a ostacolare e/o impedire l’accesso alla piscina», precisa Paggini. «La Cassazione ha infatti ritenuto insufficiente a escludere la responsabilità penale la mera affissione di un regolamento per l’utilizzo di una piscina, ove il rispettivo personale non abbia anche, in concreto, adottato misure idonee a ostacolare e/o impedire l’accesso a essa (Cassazione penale sez. IV, 22 ottobre 2008, n. 45698)». Fermo restando quanto sopra, anche i gestori e il personale degli impianti natatori possono essere riconosciuti responsabili a titolo di omicidio colposo o lesioni colpose qualora la sicurezza degli individui coinvolti avrebbe potuto essere garantita tramite una somministrazione immediata di ossigeno medicale da parte di chi è preposto al controllo della sicurezza degli impianti stessi.
La responsabilità delle scuole di subacquea o diving
La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto per la prima volta nel 2006 la sussistenza di un rapporto di garanzia anche tra le scuole di diving e i rispettivi utenti (Cassazione penale, 25 gennaio 2006, n. 24201), ritenendo un istruttore subacqueo colpevole della morte per annegamento di un partecipante a una sua immersione. In pronunce successive la Cassazione ha utilizzato l’avvenuto pagamento dell’istruttore subacqueo come criterio per confermare l’esistenza di un rapporto di garanzia, che pone il cliente in una posizione di allievo sotto la responsabilità dell’istituto (es. Cass. Pen., 11 ottobre 2011, n. 43640). «Pertanto – spiega l’avvocato – secondo la Corte la responsabilità dell’istruttore e del diving è da escludersi soltanto in quelle ipotesi di annegamento nelle quali la vittima non poteva ritenersi preventivamente collegata all’istituto da un rapporto con un istruttore, o comunque alla specifica immersione nella quale l’annegamento si è verificato. In effetti, la già menzionata circolare del 20 marzo 2016 del Ministero della salute impone anche agli istruttori subacquei di detenere bombole di ossigeno medicinale e di utilizzarle sugli utenti qualora necessario per scopi terapeutici. In base alla giurisprudenza sinora formatasi, nell’eventualità di annegamento di un utente anche l’istruttore subacqueo e il rispettivo istituto possono essere appunto riconosciuti responsabili per omicidio colposo o lesioni personali colpose ai sensi degli artt. 589 e 590 del Codice penale».
L’ossigeno utilizzato dai diving, come detto all’inizio di questo articolo, serve per le immersioni tecniche (miscele di nitrox e trimix), ma è di tutta evidenza in base alla normativa applicabile che tali bombole di ossigeno, normalmente impiegato per le immersioni, non ha natura medicale. Laddove i diving utilizzino tali bombole di ossigeno tecnico a scopo medicale, si sottolinea come tale condotta sarebbe palesemente contraria a quanto disposto dal citato decreto legislativo n. 219 del 24 aprile 2006, in forza del quale l’unico ossigeno da impiegare a scopi terapeutici è quello medicale, da ottenere esclusivamente in farmacia dietro prescrizione. Peraltro, si rammenta come le bombole destinate a contenere ossigeno medicale sono soltanto quelle recanti i segni distintivi di cui al menzionato decreto ministeriale del 14 ottobre 1999 del Ministero dei trasporti e della navigazione (cilindro bianco e disco acciaio inossidabile con la dicitura “per uso medicale”). In aggiunta, come osservato con riferimento alla regolamentazione dettata dall’Aifa ed entrata in vigore a partire dal 1° febbraio 2018, la ricarica delle bombole con ossigeno medicale deve essere eseguita esclusivamente presso le farmacie di riferimento. «È dunque evidente che nelle ipotesi in cui i diving ricaricassero autonomamente bombole non specificamente destinate a contenere ossigeno medicale, con diversi tipi di gas non aventi natura medicale, ciò rappresenterebbe una palese violazione della normativa applicabile e un’iniziativa gravemente contraria alla legge, suscettibile di ingenti sanzioni e possibili profili di responsabilità penali in caso di somministrazione a scopo medicale», conclude Paggini.
Conclusioni
Nonostante la frammentarietà della disciplina attualmente esistente, si può dunque concludere che in base alla vigente normativa applicabile sussistano obblighi concreti e ben dettagliati in capo agli stabilimenti balneari, impianti natatori e diving in relazione alla sicurezza dei rispettivi utenti. Tali obblighi comprendono indubbiamente la detenzione di bombole di ossigeno medicale, la preparazione del personale a confrontarsi con esigenze di primo soccorso e, dunque, il dovere di procedere a ossigenoterapie immediate qualora necessarie a salvaguardare la salute degli utenti. Per porre in essere tali attività in modo cosciente è necessario che i preposti alla sicurezza degli impianti siano preparati a tale attività e quindi abbiano cognizione di come esercitare tale primo soccorso, in particolar modo per utilizzo di ossigeno medicale con una istruzione specifica a tale effetto.
Come esaminato, le responsabilità legali a carico degli impianti e/o dei rispettivi staff non sono affatto da sottovalutarsi, in quanto facilmente suscettibili di assumere connotati penali in base al tipo di danni subiti dagli utenti. È pertanto auspicabile che stabilimenti balneari, impianti natatori e diving club si conformino agli obblighi previsti dalla legge come esposti, non soltanto al fine di evitare responsabilità legali ma anche e soprattutto onde ridurre le probabilità di rischi in capo agli utenti. Secondo i dati raccolti dall’Istituto superiore della sanità e aggiornati al 2019, infatti, l’annegamento è causa di circa 380 decessi e 440 ricoveri in Italia ogni anno. Certamente il corretto impiego di ossigeno medicale come prescritto dalle rilevanti normative da parte dei preporti alla sicurezza degli impianti, e quindi una preventiva preparazione a tale scopo, contribuirebbe significativamente a ridurre il già elevato numero di incidenti dovuti ad annegamento riscontrati nel nostro paese, che si ricorda essere formato da oltre 7000 km di coste.