LA MEMORIA DOPO L’ARRESTO CARDIACO
I deficit delle funzioni cognitive secondarie ad un arresto cardiaco, vengono valutati mediante una specifica scala di riferimento chiamata CPC, Cerebral Performance Category: in cui il 1° grado indica la normalità, mentre il 5° grado, la morte cerebrale.
Sottoponendo i pazienti con una buona categoria CPC (1-2°) a indagini neurologiche, è stato possibile dimostrare una specifica vulnerabilità delle regioni dell’ippocampo causate proprio dall’ischemia cerebrale globale che viene generata dall’arresto cardiaco. La regione ippocampale è essenziale per l’apprendimento e il trasferimento delle nuove informazioni nella memoria dichiarativa.
I primi studi pubblicati per la valutazione della funzione cognitiva sono stati condotti mediante metodi piuttosto grossolani come il Mini Mental State Examination, ma recentemente nuovi test come il RAVLT (test verbale per l’apprendimento dell’adulto) hanno consentito maggiori approfondimenti sulle varie caratteristiche della memoria: la più colpita è sicuramente la memoria a lungo termine, legata alla comprensione del linguaggio, alla rievocazione di eventi e alle azioni e procedure per eseguire comportamenti complessi; mentre meno colpita sembrerebbe la memoria a breve termine, ovvero la memoria che consente la ritenzione delle informazioni utili per uno scopo, la memoria visiva e uditiva.
Un’altra importante considerazione è che Il tipo di coma che colpisce il paziente sopravvissuto all’arresto cardiaco si è sempre ritenuto riflettere l’effetto immediato della durata dell’ischemia cerebrale, pertanto ci si aspetta che la performance cognitiva dei pazienti che arrivano coscienti al pronto soccorso dopo una breve rianimazione, sia decisamente migliore, rispetto a quelli comatosi; in realtà i risultati in gran parte contraddicono questa ipotesi. Solo studi futuri potranno spiegare meglio questi eventi e guidare la ricerca scientifica verso nuove terapie per la neuroprotezione. Nel frattempo: don’t stress, compress!!