Come cambiano il soccorso e il salvamento in spiaggia durante l’emergenza covid-19
L’emergenza del covid-19 sta imponendo continue modifiche in tutti gli ambiti, compreso il mondo del soccorso acquatico, e purtroppo avrà verosimilmente una durata non breve, con possibili riaccensioni della malattia che comporteranno sia restrizioni delle libertà personali che cambiamenti delle attività lavorative. In questo senso si dovranno rispettare scrupolosamente le disposizioni che verranno impartite di volta in volta dalle autorità sanitarie, che mettono il distanziamento fisico come primo strumento per la prevenzione. La pandemia ha innalzato il livello di rischio per i soccorritori laici e sanitari a causa della possibilità di contagio tramite la produzione di droplets e areosol durante le manovre di rianimazione cardiorespiratoria. L’Oms definisce la rianimazione cardiopolmonare (ventilazioni e compressioni toraciche) come una procedura da considerare a rischio di produzione di aerosol dalle vie aeree del paziente: ciò comporta il necessario aggiornamento dei protocolli di rianimazione; e le società scientifiche afferenti a Ilcor, che rappresenta l’ente di riferimento internazionale per i protocolli di rianimazione, hanno di conseguenza pubblicato le nuove linee guida sul “Basic life support”.
In questo articolo parleremo di come un bagnino può proteggersi da un possibile contagio durante un salvataggio in acqua o mentre presta un primo soccorso, evidenziando i punti critici riguardo i contesti dipendenti dalla tipologia di soccorso e di pazienti, le manovre aerosolizzanti, la protezione dei soccorritori e l’appropriatezza delle manovre. Stranamente ancora oggi, a pochi giorni della riapertura delle attività balneari, ci risulta che poco e nulla è stato fatto e detto sulle misure di prevenzione da adottare durante le fasi di un primo soccorso o salvataggio da parte del bagnino. Gli stessi enti preposti alla formazione degli assistenti bagnanti hanno fornito poche e semplici informazioni, limitandosi a consigliare di mantenere le distanze e di proteggersi sempre indossando guanti, occhiali e mascherina, non solo quando si effettua una rianimazione cardiopolmonare, ma anche durante un salvataggio in acqua e durante la permanenza nella postazione di sorveglianza. Sicuramente ci sono molte questioni in via di definizione: per questo abbiamo chiesto il parere di gruppo di esperti nel soccorso in mare, coordinati dal dottor Riccardo Ristori, medico dell’emergenza-urgenza, presidente dell’International academy of rescue and resuscitation (IARR) ed esperto in prevenzione e cura dell’annegamento, che ha collaborato con l’Istituto superiore di sanità per i rapporti Istisan sull’annegamento nelle acque di balneazione e che vanta fin dal 2011 la partecipazione attiva ai “World conference on drowning prevention”.
Il team composto dai bagnini della società Lifeguard Costa Ovest e della Società nazionale di salvamento – sezione Costa degli Etruschi, gli Opsa della Cri Donoratico e il dottor Claudio Fossati, ricercatore biologo dell’Università di Pavia, il 7 maggio scorso nelle acque toscane della Riviera degli Etruschi hanno organizzato, sotto la supervisione della Capitaneria di Porto di San Vincenzo, una serie di prove per capire quali sono i limiti e le soluzioni per gestire un soccorso in acqua e in spiaggia durante l’emergenza coronavirus, cercando di attuare un protocollo anti contagio che non sia solo teorico, ma che possa essere realmente applicato ai vari scenari. «Abbiamo preso in esame le modalità di prevenzione e soccorso in acqua, partendo da queste cinque considerazioni sulla trasmissione del virus», spiega il dottor Ristori. Il nuovo coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona infetta. La via primaria sono le goccioline del respiro (droplets) delle persone infette, per esempio tramite: la saliva, tossendo e starnutendo; contatti diretti personali; le mani, per esempio toccando con le mani contaminate (cioè non ancora lavate) bocca, naso o occhi. Per “contatto stretto”, secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), si intende il contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di Covid-19, a distanza minore di 2 metri e per più di 15 minuti. Il contagio avviene nel 90% dei casi al chiuso.
Secondo i dati attualmente disponibili, le persone sintomatiche (con febbre, tosse e difficoltà respiratoria) sono la causa più frequente di diffusione del virus. Inoltre, l’Oms considera non frequente l’infezione da nuovo coronavirus prima che sviluppino sintomi. È tuttavia anche ritenuto possibile, sebbene in casi rari, che persone nelle fasi prodromiche della malattia, e quindi con sintomi assenti o molto lievi, possano trasmettere il virus. «Tenuto conto dei punti precedenti – afferma Ristori – i bagnini di salvataggio possono essere a rischio di contrarre la malattia durante gli interventi a stretto contatto con la persona infetta o potenzialmente infetta, per esempio durante l’esecuzione di una rianimazione cardiopolmonare per le numerose procedure che generano droplets, tra cui le compressioni toraciche e la ventilazione a pressione positiva, oppure durante il recupero di acqua del pericolante, soprattutto in caso di tosse da semi-annegamento per generazione di droplets.
Quindi, durante il soccorso in spiaggia i bagnini dovranno utilizzare sempre guanti monouso e occhiali protettivi, nonché mascherina chirurgica in caso di intervento su persona cosciente asintomatica (per febbre, tosse e difficoltà a respirare), che non comprenda problemi sul volto della persona e che abbia durata massima di 15 minuti, e la mascherina FFP2 in tutti gli altri casi. Durante la permanenza sulla postazione di osservazione il bagnino non deve indossare né mascherina né guanti, in quanto inutili e dannosi per la cute. Il loro utilizzo rimane indicato solo durante l’intervento in spiaggia, mentre non corrono alcun rischio durante lo stazionamento sulle torrette».
Quali accorgimenti è invece necessario adottare per prestare assistenza sanitaria su una persona in arresto respiratorio o cardiaco, che si sospetta contagiata da Covid-19? Risponde Ristori: «Occorre utilizzare un pallone autoespansibile con sacco polmone, collegato a un tubo corrugato (catetere di Mount) e al filtro antibatterico Dar, un presidio utilizzato nei sistemi ventilatori e nei circuiti respiratori per permettere la filtrazione dell’aria da agenti patogeni, possedendo un’efficienza di filtrazione batterica e virale pari al 99,999% facilmente reperibile al costo di pochi euro. Le ventilazioni devono essere effettuate con ossigeno supplementare e sconsiglio l’utilizzo di bombola monouso da un litro, in quanto possiede un flusso inefficace. È quindi preferibile le bombole ricaricabili, a flusso variabile da 3-5 litri di capacità. Inoltre è necessario avere a disposizione prodotti per la sanificazione delle mani e contenitori per lo smaltimento dei presidi monouso».
L’Inail ha appena pubblicato le proprie indicazioni raccolte sul “Documento tecnico sull’analisi di rischio e le misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nelle attività ricreative di balneazione e in spiaggia”, dove però raccomanda di non effettuare le ventilazioni di soccorso. Commenta però Ristori: «Bisogna fare un po’ di distinzioni: il soccorso in acqua è un po’ diverso da quello effettuato a terra, in quanto bisogna garantire la ventilazione, perché nell’annegato è la carenza di ossigeno la prima causa dell’arresto cardiaco, per cui se non si risolve la causa primaria è molto difficile pensare di rianimare una persona ipossica. Se andiamo a vedere gli studi pubblicati dall’Ils (International Life Saving), ad oggi non esiste un documento sull’annegamento che riporta di non eseguire le ventilazioni, per cui sarebbe utile verificare tutte le raccomandazioni e non soltanto quelle dell’Erc a cui si riferisce l’Inail, che non fanno alcun riferimento al salvataggio in acqua prestato da un bagnino, il quale è un professionista del soccorso paragonabile al personale sanitario. Se l’infortunato non viene assistito con le ventilazioni e ossigenato al più presto, la medicina insegna che il danno primario diventa neurologico e si traduce in un aumento della mortalità».
Finora abbiamo parlato del soccorso sulla spiaggia; vediamo infine cosa è scaturito dalle prove che il team di Ristori ha effettuato durante il recupero in acqua di un pericolante: «Occorre premettere che da sempre gli interventi in acqua devono essere fatti in sicurezza – spiega il dottore – per cui ogni mezzo che consente la facilitazione dell’intervento deve essere usato: il rescue can “baywatch”, il rullo di salvataggio, il sup rescue, il rescue T tube e la moto d’acqua. Se il bagnante è cosciente e collaborante, l’operazione di recupero è ovviamente più semplice e consente un discreto distanziamento tra bagnino e pericolante. Tuttavia il grado di collaborazione può essere variabile anche durante lo stesso soccorso, per cui il recupero con rescue can e con rullo di salvataggio risultano essere molto impegnativi quando il pericolante rimane in posizione verticale, mentre è più semplice con gli altri presidi.
Se invece dobbiamo affrontare una persona incosciente o non collaborante, occorre un soccorso a contatto col pericolante e dalle prove che abbiamo effettuato in acqua non risulta possibile un soccorso con le maschere di protezione (chirurgiche, FFP2), perché quando rimangono a contatto con la bocca sono pericolose per la respirazione del soccorritore. Allo stesso modo non risulta possibile un soccorso con le maschere integrali tipo “easybreath”, in quanto non consentono l’immersione neanche su basso fondale. Mentre abbiamo sperimentato con un discreto successo l’utilizzo di un filtro Dar montato sullo snorkel (boccaglio), che consente un buon livello di protezione dal droplets. Purtroppo ad oggi non sono in commercio dispositivi di questo tipo, ma possono essere facilmente assemblati, meglio se adattati su snorkel dotati di valvola waterproof che risultano maggiormente protettivi all’acqua. Si consiglia di respirare tramite snorkel solo dopo aver preso contatto col pericolante. La respirazione da snorkel risulta infatti più difficoltosa che direttamente dalla bocca: si consiglia pertanto un buon allenamento preventivo».